Il Cantiere navale dell’Argentario

 

L’attività cantieristica navale all’Argentario, legata soprattutto alla riparazione e manutenzione di
imbarcazioni, ha radici piuttosto lontane. Un bel disegno del XVII secolo dal titolo Shipbuilding at Porto
Santo Stefano, pur rappresentando il nostro paese in modo idealizzato, affatto corrispondente alla realtà
storica, indica che fin d’allora il porto settentrionale dell’Argentario era conosciuto, tra l’altro, per esservi
una qualche attività legata alla riparazione di imbarcazioni.
Fino alla metà del secolo scorso, a Porto S. Stefano non c’era un cantiere navale vero e proprio. Il lavoro di
manutenzione e riparazione delle imbarcazioni era affidato all’opera dei calafati, che all’Argentario
vantavano già allora una solida e antica tradizione, tramandata di padre in figlio. Le prime notizie
documentate a questo proposito risalgono tra la seconda metà del ’700 e la prima metà dell’800. Tra i
primi maestri calafati, la cui attività si svolgeva soprattutto sulla spiaggetta dell’insenatura della Pilarella,
troviamo Pasquale Danei, Luigi Schiano, Domenico Sclano, Gasparo Lacchini, Giacomo Danei, Francesco
Sclano.
Nel 1845, quando su iniziativa del gonfaloniere Sebastiano Lambardi, fu costruita una piccola darsena al
Valle per il ricovero delle piccole imbarcazioni da pesca, l’attività di calafati, carpentieri e maestri d’ascia si
spostò in gran parte nell’insenatura orientale del porto. La tradizione continuò facendo leva soprattutto
sui discendenti degli Sclano e dei Lacchini.
Nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del secolo successivo, tra coloro che facevano il mestiere di
calafati, troviamo: Salvatore Solari, Paolo Sclano, Raffaello Sclano, Francesco Sclano, Nicola Sclano,
Domenico Sclano, Eliseo Sclano Nicola Lacchini e Pasquale Lacchini con i figli Gasparo, Raffaello e Romolo.
A quell’epoca si faceva tutto a mano, a cominciare dall’alaggio delle barche, con una lunga fila di uomini
che tiravano una cima legata alla prua della barca e a forza di braccia e di «Issa!» la tiravano a secco. L’uso
degli argani fu introdotto solo più tardi con gli uomini che facevano forza sulle aspe in modo che il
tamburo, girando, faceva salire lentamente la barca sullo scivolo.
Agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, visto il continuo aumento del tonnellaggio delle barche da pesca
e delle navi da carico, l’esigenza di aprire un cantiere a tutti gli effetti divenne sempre più improrogabile.
Il problema fu sollevato nel 1921 dall’assessore Filippo De Pirro che convinse il Consiglio comunale a
rivolgersi al Ministero dei Lavori Pubblici (Direzione Generale delle Opere Marittime) che si dichiarò
vivamente interessato alla costruzione di un cantiere navale nel porto vecchio di S. Stefano mediante
riempimento d’un tratto del suo bacino.
Proprio in quell’anno (1921) l’Istituto Idrografico della Marina pubblicava il Portolano delle Coste d’Italia,
dove diceva che a Porto S. Stefano non vi sono officine per riparazioni di navi. Esiste uno scalo d’alaggio di
m 30x30 e si può trovare qualche operaio d’ascia capace. È probabile che quel qualche operaio d’ascia
capace fosse riferito a Raffaello Sclano & Figli, che nel 1922 costruirono la loro prima “vera nave”. Si
trattava di un piccolo “barcobestia”, un tipo di veliero veloce e maneggevole che a quel tempo era
piuttosto diffuso a Viareggio. Misurava dai 30 ai 40 metri e aveva tre alberi, di cui il primo armato con vele
quadre, e gli altri due con vele auriche, con una stazza compresa fra le 800 e le 1.500 tonnellate. 
Negli anni ’30 l’attività cantieristica si spostò presso lo scalo d’alaggio della vecchia darsena del Valle,
proprio davanti al luogo dove oggi ci sono gli uffici della Banca dell’Etruria. Lo scalo tuttavia, non versava
in condizioni soddisfacenti. Finalmente, nel maggio del 1937 ebbero inizio i lavori di manutenzione e di
miglioramento di un tratto dello scalo d’alaggio sito nella darsena del Valle, affidati all’Impresa Gualtiero
Neri per una spesa finale di £. 65.000.
Poco prima delle distruzioni causate dai bombardamenti alleati, al Valle operavano due ditte di calafati
locali, Eliseo Sclano e Romolo Lacchini, ai quali si rivolgevano anche i soci del Consorzio Pesca Argentario
per la riparazione dei propri motopescherecci.
Il primo cantiere navale post bellico nacque nell’ottobre del 1945, quando il paese mostrava ancora le
ferite di guerra. L’iniziativa partì da Carlo Moriani che appreso di una legge con la quale si concedevano
contributi per ricostruire le barche da pesca distrutte dalla guerra, trovò appoggio in un finanziatore di
Roma, certo Costantini, e insieme misero su il cantiere La SIPA (Società Italiana Pesca e Affini).

L’attività iniziò con la riparazione dei motopescherecci danneggiati dalla guerra e con la costruzione ex
novo di barche da pesca che rinvigorirono la flottiglia locale decimata dalle vicende belliche. La sede sorse
su ciò che rimaneva della vecchia struttura usata dai tedeschi prima del loro ritiro da Porto S. Stefano.
Il nuovo Cantiere, oltre ad assumere calafati di estrazione locale, si avvaleva anche di maestranze
specializzate forestiere provenienti soprattutto da Limite sull’Arno (FI), Viareggio (LU) e Torre del Greco
(NA). Il primo peschereccio varato alla SIPA fu il Mazzini degli armatori Bernardino Bausani e Oreste
Costanzo. Seguirono l’Ochetta, il Filippo Neri, l’Isabella, il Vittorio, il Ferdinando Padre, il Marc’Antonio e
altri ancora. Furono costruiti nuovi scali d’alaggio che permettevano di tirare a secco anche barche più
grandi, le quali prima di allora si “mettevano in carena”, ovvero si sbandavano di fianco su bassi fondali
fino a fare uscire fuori la chiglia.
Diminuite le richieste di nuove costruzioni di barche da pesca, la SIPA andò in crisi e nel 1953 dichiarò
fallimento. Il Cantiere si dette allora una nuova organizzazione amministrativa e nel 1961 iniziò la gestione
che faceva capo alla ICOSAR-CNA (Impresa Costruzioni Argentario-Cantiere Navale Argentario).
Una volta apertesi le prospettive turistiche, l’attività del Cantiere si orientò sempre più verso la nautica da
diporto. I vecchi maestri d’ascia hanno tramandato il mestiere ai loro “ragazzi di bottega” e con il passare
degli anni, seppur al passo con i tempi per tecnologia e materiali, il cantiere è rimasto per scelta un
laboratorio artigianale, dove carpentieri, falegnami e fabbri lavorano con passione, forti della tradizione
ereditata. Nel frattempo, la denominazione ICOSAR-CNA è diventata più semplicemente CNA (Cantiere
Navale Argentario).
Oggi, la maggior parte del lavoro è dedicata alla riparazione, manutenzione e modifiche di imbarcazioni da
crociera, fino alle 350 tonnellate di stazza. In Cantiere vengono eseguiti lavori meccanici, di falegnameria
e di carpenteria. Con la stessa cura e impeccabile precisione vengono trattate le imbarcazioni in metallo,
che richiedono una maggiore attenzione e l’impiego di una tecnologia avanzata. Lo scalo di alaggio
consente un movimento di circa 150 imbarcazioni all’anno. La sua creazione si deve al comandante Pier
Luigi Gaspari, uno dei primi direttori del Cantiere, il quale per le operazioni di alaggio e varo adottò un
carrello elettro-idraulico avente una portata massima di 400 tonnellate.
Negli anni ’80-’90 il fatturato annuo del Cantiere raggiunse cifre ragguardevoli, quasi tutte in valuta
estera. La maggior parte dei clienti erano, infatti, proprietari di barche da crociera provenienti da tutto il
mondo, in particolare da Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada. Tra le “regine del mare” passate sotto le
“amorevoli” cure degli operai del Cantiere Navale Argentario, sono da menzionare: Sea Gipsy in legno;
Dolphin in acciaio; Dorade, progettato da Olin J. Stephens nel 1925; Cheone, progettata dal celebre Robert
Clac e varata in Scozia nel 1937, Nyala, progettato da Olin J. Stephens nel 1938; Linnet, scafo americano
del 1904; Cerida, varata nel 1938; Kiwi, costruito nel 1963 dal Cantiere Carlini di Rimini su progetto
Sparkman & Stephens; Cholita, varato nel 1937; Bonafide, cutter aurico del 1899; Folly, costruito in
Inghilterra nel 1907; Tamara 9, costruita a San Diego (California) nel 1935.
Partito subito dopo l’ultima guerra con tre operai, il Cantiere Navale Argentario nel corso della sua storia
è arrivato ad occuparne una cinquantina ed oggi, nonostante il perdurare della crisi economica generale,
ne conta 25. Grazie ad una manodopera sempre più preparata e specializzata è riuscito ad imporsi nel
settore della cantieristica internazionale, tanto da essere considerato uno dei primi cantieri navali
d’Europa. Nel settembre 2000 è stato premiato con il “Yacht Digest Award”, considerato l’Oscar della
nautica. La cerimonia ebbe luogo presso il Roof Garden del Casinò di Sanremo alla presenza di
amministratori, architetti, armatori e amanti del restauro nel settore navale. L’ambito riconoscimento è
stato bissato due anni più tardi per il restauro di Stormy Weather, la gloriosa barca del famoso progettista
navale americano Olin J. Stephens (1908-2008), cittadino onorario dell’Argentario. Negli anni 2003, 2007
e 2013, il Cantiere Navale Argentario si è aggiudicato il “Premio Italia per la vela per il miglior restauro di
barca d’epoca” messo in palio ogni anno dall’Accademia Navale di Livorno.
I calafati e i maestri d’ascia dell’Argentario, che iniziarono la loro attività con la riparazione delle menaite
e hanno proseguito con le paranze, le barche della rena e quelle del carbone, passando poi ai
motopescherecci e ai piroscafi, fino agli yacht e alle navi d’epoca, oggi hanno la soddisfazione di vedere la
loro storia illustrata e mostrata al pubblico nel museo dei maestri d’ascia, allestito nel 2000 dall’arch.
Franco Ceschi nei locali della Fortezza spagnola di Porto S. Stefano.

Gualtiero Della Monaca

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